« Fuggire» … verso la morte o la vita ?

Goma, 19 novembre 2008, a 6h del mattino un convoglio di aiuti umanitari si pepara a partire per Rutshuru e Kiwanja, a 75 km nord di Goma. Cento tonnellate di aiuto alimentare (farina di mais) saranno trasportate in questa zona dagli agenti logistici delle Nazioni Unite, scortati dalla Monuc. Il convoglio è davvero impressionante e si prepara a partire con un’emozione quasi euforica perché è il quinto, e per il momento l’ultimo, trasporto di aiuti per Rutshuru e Kiwanja. Sono tutti perfettamente coscienti delle difficoltà e della delicatezza della missione. Ci salutiamo alle 6h30, riceviamo un casco bianco e un giubbotto anti-proiettile col consiglio di usarlo alla prima difficoltà o in caso di ordini precisi.
Un generale indiano di caschi blu della Monuc impartisce le istruzioni per la partenza. Il convoglio, lentamente, si mette in cammino. Facciamo le ultime telefonate, gli ultimo sms lasciando la città. Invio un messaggio al nostro Presidente del consiglio di amministrazione di Memisa in Belgio. A 17 km dal centro di Goma troviamo l’ultima barriera militare della FARDC. I soldati, al bordo della strada, ci fanno segni con le torce. Non hanno certo l’aria di chi mangia a sufficienza. Piccoli gruppi di militari sono stazionati nella valle e a finco delle colline possiamo vedere le loro tende.
Armati di tutto punto e ci salutano appena. E’ troppo presto per essere ben svegli o la notte è stata troppo dura per loro ?
Raggiungiamo la « no man’s land » e il silenzio s’installa nel nostro veicolo. Qui ricevo il messaggio del nostro presidente che risponde al mio sms, mi augura coraggio per questa missione e dice « Che Dio ti protegga !»
Senza dircelo, sappiamo tutti di essere ormai sulla linea del fronte. A duecento metri vediamo i soldati del CNDP. Anch’essi armati di tutto punto incutono un clima di spavento. Nel camion il silenzio si fa ancora più profondo, cerco di rompere il ghiaccio ponendo la questione sull’identità di questi militari : « Sono gli altri ? », « Si signore » è la risposta educata del nostro autista e la conversazione si ferma là ! Colpisce la vista dei villaggi completamente abbandonati. I militari ci si sono installati e la maggior parte delle finestre di legno sono state sfondate.
Le donne sono rare in questa zona « no man’s land » e nessun civile resta sul posto. I villaggi sono stati completamente abbandonati. Possiamo vedere diversi « obici » vuoti sul ciglio della strada e, al lato, tracce di carri armati e camion. Tutto all’intorno porta i segni dei violenti scontri avutisi nei giorno scorsi. Nei campi coltivati ci sono legumi, ma le erbacce crescono un po’ ovunque. Sulla strada quanche sparuto gruppo di civili malvestiti, con i « biloko » ( le cose ) sulla testa o a spalla. Dove va questa gente ? Camminano con determinazione senza guardare tanto qua e là.
Qualche bambino saluta con simpatia gridando « Mouzoungou, Mouzoungou », che vuol dire « bianco ».
Contiuiamo il nostro cammino e piano piano riprende anche la conversazione.
Sempre più si possono vedere persone che si dirigono a piedi verso Goma, arriveranno mai ?
Il convoglio si ferma e noi restiamo nel camion, qualche telefono squilla, c’è il segnale. Le notizie che giungono non sono buone, la gente sfolla in massa da Kiwanja a Rutshuru. Perché ? la situazione non è chiara ! da dove siamo non si vede molto questo movimento di sfollati anche se piccoli gruppi familiari sono sempre più frequenti sulla strada. E le notizie diventano sempre più inquietanti : la popolatione di Kiwanja fugge verso Rutshuru.
Il convoglio si ferma ancora e possiamo scendere per informarci meglio. In realtà non abbiamo notizie più precise ma vediamo le case vuote, il luogo abbandonato. La gente è in cammino sulle strade eppure, e questo ci rassicura un po’, non è nel panico. Dopo qualche minuto di sosta si riparte, e ci avviciniamo a Rutshuru. Sul ciglio della strada ancora qualche bossolo di obice ! che affrontamento c’è stato qui ??
E le persone sulla strada si fanno sempre più numerose, a volte con un carico pesante sulla testa, per la più parte utensili da cucini. I bambini seguono le mamme, sono loro che ci salutano con simpatia. Ci sono anche piccoli mercatini dove le donne vendono le cose più disparate. Ma per la maggior parte si tratta di persone in cammino. Tante domande affollano i miei pensieri : Perché ? da ove vengono queste munizioni ? chi fornisce loro armi e uniformi ? i soldati hanno un’espressione scura, chiusa, quai satanica a volte. Ho come l’impressione che ci guardino con una specie di odio. Li saluto spesso e ogni tanto uno di loro risponde con un cenno. Ma la maggior parte dei militari ha lo sguardo chiuso e fisso. Attraversiamo la città di Rutshuru per arrivare a Kiwanja, mancano ancora sei o sette chilometri. Qualche piccolo gruppo si dirige a sud, cosa li fa fuggire da Kiwanja ?
Le versioni sono discordi, c’è chi dice che la popolazione ha ricevuto minacce. I may may vogliono attaccare ? ma è questa la vera motivazione ? e siamo in pieno territorio del generale Nkunda, menomale che non si fa vedere! Gli sfollati sulla strada sono sempre più numerosi,e sempre senza panico. Ci avviciniamo a Kiwanja, il centro del villaggio è deserto, non c’è nessuno nelle abitazioni. Il convoglio si dirige verso la parrocchia e il responsabile del PAM chiama gli agenti della Caritas di Kiwanja. Jean-Benoît ed io, operatori di Memisa Belgique dobbiamo incontrare i responsabili dei Centri Medici. N’on c’è molto tempo perché non è prudente allontanarsi dal convoglio. Eppure ho un gran desiderio di restare con questa gente. L’infermiere responsabile arriva subito. Non ci siamo mai visti ma ci salutiamo come vecchi amici. E’ un uomo sorridente, conteto di vederci, e ce lo dice chiaramente mentre ci ringrazia per aver avuto il coraggio di arrivare fino a li. Ci racconta l’angoscia e le atrocità che hanno vissuto. La paura degli spari, le razzie, le violenze sessuali. Ormai hanno paura a dormire nelle loro abitazioni, ogni momento temono le violenze dei ribelli sui civili. Ci conferma la notizia di un prossimo attacco dei militari CNDP o dei May May su Kiwanja. Nel frattempo gli inviati delle Nazioni Unite parlano con i responsabili Caritas del luogo che escono pian piano radunandosi attorno a noi. Io continuo a parlare col mio infermiere. Fa il suo rapporto della drammatica situazione sul piano sanitario, dice che non hanno ancora ricevuto nessun aiuto in medicine a parte qualche pacco inviato da Memise Belgique il mese prima. Non hanno più riserve !!! davvero non riesco a capire, non hanno più riserve ? ma se ci sono tante organizzazioni di aiuto laggiù. Mi spiegano che gli aiuti sanitari non sono stati distribuiti unicamente alle strutture della Chiesa. Ci viene impartito l’ordine di tornare ai nostri posti sui camion. L’infermiere era venuto con l’ambulanza ma lo spingo nel camion perché voglio ancora parlare con lui e dico all’ambulanza di seguirci a ruota. Nel camion ci spiegano che la situazione è troppo tesa, non possiamo effettuare la distribuzione dell’aiuto alimentare come previsto, dobbiamo andare al campo della Monuc. Sono proprio contento che l’infermiere sia con noi sul camion, e lo è anche lui, visibilmente. Davanti all’accampamento della Monuc troviamo una vera folla che si stringe verso la porta. Siamo costretti a scendere e dirigerci a piedi verso la porta, ma i soldati dell’ONU non vogliono farci passare. La gente intorno al campo cerca di costruirsi dei rifugi, come delle baracche in fogliame e cartone, cercano tutti una sicurezza. Speravano che la MONUC li proteggesse ed esprimono la loro delusione.
Torniamo ai camion e cerchiamo di passare tra la folla ; vedendo l’immatricolazione dei veicoli questa volta ci fanno entrare nell’accampamento dell’ONU. La gente rimasta fuori ha un’espressione vuota, non ci si legge certo la gioia ! sono angosciati, hanno paura è evidente ! nel campo continuiamo a parlare coll’infermiere che è soddisfatto di aver potuto entrare, almeno una volta. Qualche minuto passato al sicuro ? mi sembra che la veda cosi! Mi parla ancora delle sue angoscie e le paure,. Come migliaia di altri, ha vissuto momenti atroci. Sua moglie è incinta, aspetta un figlio e si chiede come potranno farcela in quella situazione. Quando parla di sua moglie e dei suoi figli si commuove. Non sa davvero cosa fare. Ci spiega come ha aiutato i feriti e gli altri malati. La gente fugge, si precipita sulle strade ? mi chiedo dove stiano andando visto che alcuni si dirigono al sud ed altri al nord. Fuggono in tutti i sensi perché sono minacciati da ogni parte. In questa fuga, curiosamente, non ci sono reazioni di panico, hanno visto di peggio evidentemente !
Le ultime istruzioni dicono che il nostro convoglio di aiuti alimentari deve pernottare sul posto perché la situazione è troppo insicura per iniziare subito una distribuzione. E’ mezzogiorno e quelli come noi che hanno accompagnato il convoglio hanno ancora due ore di tempo prima di tornare a Goma. Chiedo di poter visitare un centro medico e un centro nutrizionale. Ricevuta l’autorizzazione ci rendiamo a un centro distante qualche chilometro. Il centro, nutrizionale e medico, è ben tenuto da suore polacche. Ci sono centinaia di bambini denutriti ! alcuni allo stadio grave con lo sguardo vuto. Sono immagini che si scolpiscono in noi. Possiamo donargli un po’ di speranza ? ci fermiamo un po’ con questi bimbi. La situazione è davvero grave ! ma i belligeranti sono davvero insensibili a tutto questo ? sono scandalizzato e vorrei gridare, ma nessuno mi ascolterebbe ! chiedo conferma alle parole dell’infermiere sulla mancanza di aiuti medici per le strutture della Chiesa. Si, me lo confermano, sento che mi sto innervosendo. Denuncio questa realtà all’OMS, anche loro per la prima volta presenti in questa regione. Cerco di capire ma esprimo il mio disaccordo: capisco che non ci siano molti aiuti disponibile e che le altre organizzazioni debbano fare una cernita tuttavia questa situazione non è giustificabile. Non abbiamo molto tempo da perdere per cercare le cause di quanto verificato e cerchiamo piuttosto di capire come aiutare al più presto questi centri sfavoriti. Ma all’improvviso viene impartito l’ordine di tornare al campo della MONUC perché la partenza per Goma è anticipata di un’ora! L’infermiere riparte con noi e torniamo al campo. Si forma un piccolo convoglio per il ritorno a Goma. Gli aiuti alimentari che abbiamo portato restano al campo, verrà distribuita il giorno dopo. Dobbiamo partire al più presto perché l’organizzazione delle Nazioni Unite non vuole correre rischi per noi. Non siamo di quella zona e non sappiamo molto che aria tira nella regione. E’chiaro che siamo un bersaglio facile in caso di problemi, tanto da potere mettere in pericolo anche i congolesi. Cosi saluto il nostro infermiere con la promessa di reagire al più presto per la situazione dei Centri Medici. Visibilmente è felice della nostra visita e ci saluta calorosamente. Il convoglio riparte per Goma e ci si ripresenta lo stesso scenario! La gente si dirige in tutti i sensi con uno sguardo fatalista!

Una donna che ci vede passare chiede: “da che parte...da che parte dobbiamo andare?” mette le mani in aria e corre con la poca roba che gli resta. Le faccio una foto, il solo segno visibile che posso prendere per inviarlo poi al mondo intero! Glie lo devo e faro’ di tutto per denunciare quasta guerra atroce! Non c’è nessuna ragione che possa giustificare le azioni dei belligeranti. Non so cosa dire loro e mi chiedo se queste donne hanno una scelta? Dove fuggire? Verso la morte o la vita? Un pensiero mi attraversa il cuore “Mio Dio, cosa abbiamo fatto della tua umanità?” il convoglio continua la sua marcia ma a questo punto minaccia la pioggia. Qualche minuto e scoppia un temporale, la pioggia torrenziale inonda la strada, i campi, le case. Dobbiamo fermarci perché non si vede più niente, a un metro di distanza. Il temporale colpisce anche la gente sulla strada, sono bagnati fradici, completamente ... ma continuano la loro marcia. Qualcuno cerca di proteggersi un po’ mettendosi sotto un albero! Quanta miseria per questa gente? Quale soluzione? Che fare? Dopo circa mezz’ora il convoglio puo’ ripartire, ma che disastro ha provocato questa pioggia! Villaggi interi inondati! Quel poco di cibo che la gente aveva di scorta è completamente bagnato, fa freddo ed è molto umido! Non mangeranno al caldo stasera è evidente! Forse non mangeranno proprio! Ma che disastro???
I militari sono ancora presenti, ma si sono ritirati nelle case degli altri. Che scandalo! Chi sono i responsabili di tutto questo? Di chi è a colpa? Parliamo di questo nel nostro camion e siamo profondamente convinti che questa gente deve essere punita! Non puo’ continuare cosi!

Ci avviciniamo ancora a Goma e attraversiamo l’ultimo posto di guardia del CNDP per entrare di nuovo nella “no man’s land” ! questi militari guardano con rassegnazione gli altri della FARDC. E passiamo la prima barriera all’entrata di Goma! Un sospiro di sollievo! Siamo in territorio sicuro? Moralmente ci diciamo di si ma sappiamo bene la situazione non è migliore da quest’altra parte della barriera!
Mi chiedo se questi soldati si rendono davvro conto di cosa stiano facendo? Non dobbiamo forse perdonarli perché “non sanno quello che fanno”! ma chi sta dietro tutto questo? Questi affrontamenti non sono innocenti, c’è chiaramente tutta una strategia dietro! Gli autori diretti e indiretti sono i veri responsabili e i veri colpevoli. Chi vuol vedere, toccare le popolazioni colpite, vittime di persone assetate di potere e di dominazione? Mi sento completamente impotente ma non ho voglia di chiudere gli occhi o le orecchie! Mi rendo conto che il mio grido risuonerà probabilmente nel vuoto!

Chiudo con un proverbio di cui non conosco l’autore ma che dice cosi: “mi capita di parlare a me stesso per essere certo che qualcuno mi ascolti”.


Fr. Luc Vansina, ofm Cap à Goma, RDC
Coordinateur National Memisa Belgique en RDC

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